Il turismo ed Airbnb ai tempi del coronavirus

Voglio portare alle migliaia di operatori privati della locazione breve che seguono le mie riflessioni un motivo di ottimismo, suggerendo loro di “non mollare” perché proprio la dolorosa particolarità di quanto accade potrebbe volgere a nostro favore questa critica situazione di mercato.

Se ci mettiamo nei panni del coraggioso turista che sfidando il rischio abbia comunque necessità di trovare ospitalità in una delle nostre città, a conti fatti preferirà sempre e sempre di più la maggiore protezione offerta da un appartamento Airbnb piuttosto che da una stanza d’albergo. Dando infatti per scontato il medesimo livello di pulizia il primo garantisce un isolamento e quindi una protezione dai rischi di contagio decisamente maggiore rispetto alla seconda. Anche considerando che il condominio sia comunque frequentato da più famiglie il suo livello di condivisione degli spazi tra le persone che lo abitano e quindi di rischio di propagazione del virus non è paragonabile a quello di una struttura per sua natura “aperta” a decine e decine di soggetti diversi giunti da diverse destinazioni che di continuo interagiscono tra di loro, salgono, scendono, siedono, parlano… toccando naturalmente ed inevitabilmente dappertutto.

Non è pensabile trasformare un albergo in un luogo sicuro da quel punto di vista se non facendone un ospedale, o una prigione, come peraltro in alcuni casi è purtroppo già accaduto impedendo agli ospiti di uscirne. Questa scelta comunque spiacevole ma obbligata di limitare il più possibile l’incontro con estranei spostandolo sul digitale porterà prevedibilmente a dare maggiore valore alle abitazioni dotate di sistemi di apertura a distanza delle porte d’ingresso, che permettono di entrare in casa senza scambio fisico con alcuno, in pratica proprio senza checkin tradizionale.

Non mi entusiasma parlare di business sui guai degli altri ma il fatto che questo scenario di dolorosa fantascienza non sia un serial televisivo ma l’intera prima pagina dei giornali di questa mattina in ogni parte del Mondo ci costringe con estrema urgenza a progettare un modello di vita e di lavoro che “nonostante” il virus ci permetta di mandare avanti progetti e relazioni, e di questo sto parlando. Se questa necessità di sicurezza confligge con gli ambienti “troppo frequentati” come inevitabilmente è il tradizionale spazio alberghiero non ne sono affatto felice, ma è mio dovere prenderne atto ed andare avanti.

Per avvallare con dati concreti queste mie riflessioni mi permetto di confrontare i numeri degli arrivi di quest’anno e dell’anno passato nel periodo dal 20 febbraio al 2 marzo nei 600 appartamenti milanesi che utilizzano i nostri sistemi per le imposte di soggiorno e le statistiche del turismo. Il calo c’è ma è del 25%, mentre nella rassegna stampa riportata più sotto i proprietari dell’Hotel Cavour e del Visconti Palace, probabilmente i due più seri imprenditori del settore a Milano, accusano un calo nel medesimo periodo del 90% (novantapercento!).
Come vedete il peso oggettivo e non risolvibile di questo fattore della sicurezza nella scelta del modello di ospitalità alberghiera o residenziale sta già influenzando le scelte dei viaggiatori ed ancora di più lo farà nell’immediato futuro, dando una spinta probabilmente decisiva alla crescita del modello Airbnb. Di fronte alla crudezza di questa realtà dubito che le amministrazioni locali oseranno ostacolare il processo in corso penalizzando proprio quelle specifiche forme di accoglienza più richieste dai già scarsi turisti. Sarà un ben curioso destino che a salvare il turismo ed il commercio locale italiano possa essere infine proprio l’ospitalità in appartamento da sempre così osteggiata dalle associazioni dei commercianti.

 

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